Wichtige Orte in Castello d'Agogna
Burg
Castello d'Agogna prende il nome dal torrente Agogna che viene ad attraversare il paese dopo un percorso di 140 km cominciato dal Monte Mergozzolo, sulle Prealpi.
In età cristiana, prima che la Lomellina fosse soggiogata dai Romani, le case esistenti erano sparse e costituivano un vico compreso nel Pago Vercellese. Il fondo di Castello d'Agogna fu indicato con il termine FUNDUS ACONIANUS e Marco Volumnio Epafrodito fu il primo possidente documentato di tale fondo.
I Romani, popolo guerriero, cercavano punti strategici per i loro accampamenti, vicino ad un corso d'acqua e ad una strada ove costruire un CASTRUM, una fortificazione di carattere permanente di forma quadrilatera. La denominazione di Castro Aconiano è ritenuta quindi di origine romana.
In età longobarda non furono fondati nuovi castrum; parecchi potenti longobardi si stabilirono nella rocca espropriando i fondi. Quando i Longobardi si convertirono al Cristianesimo, alcuni dei maggiori castelli, fra i quali il nostro, passarono dall'amministrazione regia ai Vescovi.
Sotto la minaccia di nuove incursioni ungariche ogni borgo e paese ebbe una rocca: il castrum divenne paese e il rapporto dialettico Borgo del castello si capovolse divenendo Castello del Borgo (Castello d'Agogna appunto)
Dopo il X secolo si hanno notizie più precise del castello. Castello d'Agogna -Castro di Barona- entrò nel patrimonio dei beni dei Perolfo, feudatari di Mortara. Nel 1080 Adamo Da Mortara ottenne da Papa Gregorio VII la facoltà di formare una famiglia di monaci e fondò quindi l'ordine religioso dei Mortariensi.
Papa Gregorio VII approvò il disegno di Adamo di edificare su un proprio podere: ne nacque il convento di S. Croce, matrice di nuove chiese religiose fra cui il priorato di S. Maria di Castello d'Agogna e S. Martino in Castel Barona ora scomparso.
Nel periodo di formazione dei Comuni, sul finire del 1100, i feudatari Da Mortara esiliarono, ma per Castel Barona, sin dal secolo XI, il potere ecclesiastico risulta aver avuto importanza primaria.
Furono i canonici di S Croce a progettare l'impianto dei corsi d'acqua rurali ora chiamati: Cavo di Frati, Cavo Panizzina, Roggia Zermagnona.
Nel 1100 i feudatari di Mortara furono costretti all'esilio e nel 1164 il castello divenne patrimonio di Federico II detto il Barbarossa. A seguito di una richiesta d'aiuto, Federico II legittimò alla canonica di S. Croce il possesso dei beni situati nelle corti di: Mortara, Ceretto, Nicorvo, Olevano, Albonese, Cozzo, Sant'Angelo, Cergnago, tutta la corte di Castel Barona, di Silvia Regis, Zeme Lomellina, Tignetto.
Il 12 Giugno 1213 i DellaTorre, signori di Milano, entrarono in Lomellina, "distrussero Mortara fino alle fondamenta" e presero vari castelli. I DellaTorre scelsero il castello di Castello d'Agogna come residenza di campagna, lasciando il beneficio dei terreni circostanti ai monaci.
E' durante il XIII secolo che si afferma il concetto di castello: sia le ville che i castrum vengono fortificati. A questo periodo risale probabilmente il rifacimento del nostro castello: sorto dapprima come fortificazione, venne poi ad assumere un nuovo aspetto.
Alla sconfitta definitiva dei DellaTorre ad opera dei Visconti, nel 1311, seguì un lungo conflitto fra la Santa Sede e i Visconti stessi: questi confiscarono tutti i beni ritenuti ecclesiastici nei territori occupati.
Dopo il 1370 i Visconti entrarono in conflitto sia con il Marchese del Monferrato che con il Conte di Savoia. Fu allora che Amedeo VI organizzò contro Galeazzo II un imponente lega presieduta dal Papa: il preposito mortariense Giacomo Da Gambarana si schierò con il Papa scendendo in linea con i suoi due castelli di Barona e Zeme.
Il 04 Giugno 1375 venne firmato l'armistizio dal quale, pur perdendo le sue terre nel Vercellese a favore dei Savoia, Galeazzo II uscì più forte. Giacomo De Gambarana fu costretto ad umiliarsi e a supplicare clemenza, promettendo l'alleanza dei suoi due castelli con lo Stato Visconteo in occasione di conflitti che non vedessero lo Stato della Chiesa come nemico. Galeazzo ripristinò nelle loro proprietà i Mortariensi, ma questi, durante il periodo a cavallo far Medioevo e Rinascimento, a causa dei gravi danni all'economia agricola dovuti al continuo stato di belligeranza, preferirono rifugiarsi nel convento di Mortara, abbandonando il castello di Barona.
Con l'amnistia del Dicembre 1376 fu riconfermato il possesso dei due castelli al preposito di S. Croce e sorsero grandi dispute poiché, a seguito della ribellione di De Gambarana, il Conte di Virtù aveva ceduto i castelli al Conte Porro. Solo a metà del secolo seguente la disputa si risolse: Castello d'Agogna e Zeme appartenevano alla mensa di S. Croce. Il 10 Luglio 1392, sotto la prepositura di Galeazzo, Conte de Gamboloitis, venne rogato il passaggio di proprietà dal Monastero di S. Croce al Conte di Pollenzo, Antonio Porro.
Nel 1407 cominciarono le rappresaglie di Facino Cane, Conte di Biandrate, che lo portarono nel 1409 ad occupare il suburbio mortariense e a reggerlo per nove anni indipendentemente dal Comune di Pavia. Alla morte di Cane, nel 1412, il feudo fu ereditato dalla vedova Beatrice di Tende, poi sposa di Filippo Maria Visconti. Decapitata Beatrice perché accusata di adulterio, nel 1418 il castello rientrò sotto il diretto dominio di Filippo Visconti e fu affidato ai Porro.
Nel 1427 i Porro permutarono il castello con Zanino Ricci, che fece scavare la Roggia Rizza in Zeme. Alla morte di Filippo Maria Visconti il governo fu affidato a Francesco Sforza e il castello fu lasciato in feudo a Luigi Sanseverno dal 1438 al 1467.
Dal 1467 al 1489 la contea fu presieduta da Ludovico il Moro che, relegato il nipote Gian Galeazzo nel castello di Pavia, teneva saldamente il governo in suo nome. Ludovico, divenuto Duca di Mortara, favorì la discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia, che mosse contro di lui per spogliarlo del suo Ducato.
Alla morte del Moro (1499-1500) Milano e la Lomellina caddero nelle mani dei Francesi e divennero parte integrante del regno di Luigi XII.
Gian Giacomo Trivulzio, maresciallo di Francia, fu obbligato ad uscire da Milano, ribelle ai Francesi, e concentrò il suo esercito a Mortara e nei paesi limitrofi, in attesa dell'arrivo dei soccorsi dalla Francia. Il nostro castello fu presieduto dai Francesi che ne distrussero i ponti levatoi, fino alla loro evacuazione, quando abbandonarono il campo per ricongiungersi con gli Svizzeri a Gattinara.
Papa Giulio II, Pontefice dal 1503, avviò una lega, definita Santa, tra Chiesa, Venezia e la Spagna. I confederati marciarono contro la Lombardia, occupando Milano e riconsegnandola a Massimiliano Sforza. Questi si ritirò a Pavia e lasciò il Ducato al fratello Francesco II che governò fino alla morte avvenuta nel 1535 senza eredi.
Nei primi decenni del XVI secolo l'esercito spagnolo invase la Lomellina dove l'imperatore Carlo trovò l'aiuto di Matteo e Gerolamo Beccaria. Matteo Beccaria fu nominato Marchese di Mortara e Stefano e Zanino Ricci furono riconosciuti i privilegi concessi dai Visconti al castello d'Agogna.
Il 30 Novembre 1577 la parte del castello del Conte Ricci fu venduta a Riccardo Jettone con tutti i privilegi e diritti annessi.
Dal 1577 al 1700 si hanno pochi elementi per ricostruire la storia del castello.
Il 24 Maggio 1590 il magistrato delle rendite straordinarie dello stato di Milano pubblicò una guida fiscale per la vendita dei beni nei territori di Castello d'Agogna, Ceretto e Mortara: una parte di questi beni inerenti al castello furono acquistati dal Conte Miglio e dal commendator Basso.
Il 20 Giugno 1613 si iniziò la divisione dei beni del castello fra i Porro e i Miglio.
Dall' 11 Luglio 1622 alcune parti di proprietà del castello furono suddivise nelle sorgenti contestazioni da Bartolomeo Bonino, Boniforte e Ferrante Ponzano, Paolo Fazzardi e dalla contessa Dorotea Toriani.
Dal 1628 gli spagnoli, in guerra con la Francia, concentrarono i loro maggiori sforzi intorno a Casale. I transiti delle truppe da Mortara-Castello d’Agogna verso Candia-Casale erano incessanti, così come le requisizioni di carni e buoi: continuavano quindi azioni di disturbo per il castello.
Contemporaneamente si registrarono una serie di testamenti riguardanti la successione ereditaria del castello.
Nonostante tutto la Lomellina visse alcuni anni senza sussulti sotto la duplice tutela della Spagna e della Chiesa Cattolica.
Con la decadenza del potere spagnolo scoppiarono le prime carestie, cui fecero seguito le spaventose epidemie che colpirono la Lomellina (la famosa peste manzoniana). Agli inizi del ‘700 il castello rimaneva un campo trincerato e un magazzino di foraggi e viveri.
Nel 1700 si aprì un processo ai danni di Miglio da parte dei consoli della comunità di Castello d’Agogna a causa del fieno, di cui restava debitore, somministrato alla cavalleria Alemanna. Durante la guerra di secessione di Spagna, fra l’Imperatore d’Austria e il Duca di Savoia Vittorio Amedeo II si stipulò, l’8 Novembre 1703, un trattato in base al quale la Lomellina veniva ceduta alla Casa Savoia e staccata dal territorio pavese. Ormai provincia piemontese di fatto, con il trattato di pace di Vienna (8/11/1738) passò definitivamente al Piemonte ed il Ticino segnò il limite fra i domini sabaudi ed austriaci.
Le lotte fra gli Olevano, il marchese Ferrario, i Porro, i Miglio, i Basso, alleati e subito dopo nemici, le cui autentiche mire erano quelle di accaparrarsi il dominio sulle acque dell’ Agogna, erano il problema centrale della vita del castello. I feudatari erano esigenti verso il popolo, che non esitava a reclamare i propri diritti: nel 1729 la comunità ottenne dal conte Porro una casa per l’abitazione del cappellano. L’aggressività e i contrasti fra le famiglie mantenevano la situazione agitata: tutte parimenti potenti, nessuna seppe prevalere nel conseguimento del domino sul castello. I Conti Porro, Miglio e il Commendatore Basso decisero infine di vendere il castello e tutta la proprietà fra loro frazionata al Marchese Pietro Isimbardi.
Il 28 febbraio 1777 il castello fu infeudato da Lorenzo Tarsis e il 10 marzo col titolo comitale. Con D.P. 7 Luglio 1827 venne rinnovato a Gianpaolo Tarsis il titolo di Conte di Castello d’Agogna, già spettante alla sua ava Paola Angela Maria Tarsis.
Nel Risorgimento, mentre Radetzkj sconfinava la linea a Cava Manara, una fiumana di austriaci al comando del generale D’Asprè si diresse verso Mortara presieduta dai piemontesi con a capo il Generale Durando, il Capo di Stato Maggiora La Marmora, il Generale Chrzanowskj. La riserva del Duca di Savoia si accampò a Castello d’Agogna, dove Vittorio Emanuele II disegnava la strategia di piombare di sorpresa sul nemico, sottovalutando il pericolo. La battaglia si svolse il 21 marzo 1849, per i piemontesi fu un vero insuccesso tanto che si ritirarono dirigendosi verso Novara dopo il consiglio di guerra tenuto nel quartiere del Duca d’Aosta al Castello d’Agogna. Il Marchese Isimbardi chiese a Vittorio Emanuele II un’adeguata indennità di guerra.
Il potere locale degli Isimbardi continuava ad esplicarsi intorno alle vecchie strutture castrensi, mentre l’autorità locale andava rafforzando il proprio ruolo legislativo: il Comune di Castello d’Agogna cui la nobile Casa Isimbardi permutò un tronco di strada comunale il 4 agosto 1842. Dopo il 1870 il Marchese Isimbardi cedette il castello alla famiglia Gregotti.
Castello d’Agogna assume importanza militare nel corso della seconda guerra mondiale. Una formazione SAP (Squadra Azione Patriottica) particolarmente attiva viene costituita da Giuseppe Invernizzi, agricoltore fittabile del castello. Dalla Prefettura di Pavia arrivò al Comune una richiesta per l’insediamento di un presidio germanico: il 6 dicembre 1944 il castello fu occupato dai nazisti: alcune truppe furono dislocate nei cascinali, alcune abitazioni furono confiscate, il tenente medico venne alloggiato dal parroco. Poco discosto dal castello vi era un campo per l’atterraggio degli aeroplani. La zona rappresentava un punto strategico rilevante per il controllo del ponte sul torrente, transito di lunghe colonne tedesche che cercavano una via di fuga verso la Germania. Al castello la vita si faceva sempre più difficile: i proprietari Gregotti-Coghi e Gregotti-Corbella furono relegati in pochi locali indispensabili, il comando germanico fece eseguire opere di trinceramento, alla popolazione venne imposto il coprifuoco dopo le ore ventuno, pena la fucilazione, oltre al divieto degli alberi al margine della strada. Oltre a queste proibizioni documentate, i tedeschi si comportarono bene con gli abitanti soprattutto con anziani e bambini. Il 30 aprile 1945, dall’azione concertata dai partigiani di Mortara, Robbio, Ceretto e Olevano, venne snidato il Comando tedesco ed il castello fu liberato.
Con l’evacuazione nazista, ai legittimi proprietari non rimaneva che contare i danni. L’ingegner Pesce di Mortara fu incaricato dal Ragioniere Coghi di stimare i danni, il cui elenco fu inviato al Comitato Liberazione Nazionale.